Dante Alighieri

Dante Alighieri. Nació en Florencia en 1265, murió en Rávena en 1321. Conocido universalmente por La Divina Comedia.    Lo que ofrecemos en sonido, es un fragmento de EL PURGATORIO vertido a Canto Córsego y descubierto por Jean-Paul Poletti, gracias a un campesino del centro de Córcega.

Purgatorio

Canto XVII (Segmento)

 

Acuérdate, lector, si es que en los  Alpes
te sorprendió la niebla, y no veías  
sino como los topos por la piel.

como, cuando los húmedos y espesos 
vapores se dispersan ya, la esfera
del sol por ellos entra débilmente;

y tu imaginación será ligera
en alcanzar a ver cómo de nuevo
contemplé el sol que estaba ya en su ocaso.

Mis pasos a los fieles del maestro
emparejando, fuera de tal nube
salí a los rayos muertos ya en lo bajo.

Oh fantasía que le sacas tantas
veces de sí, que el hombre nada advierte
aunque suenen en torno mil trompetas.

 
Ricorditi, lettor, se mai ne l'alpe

ti colse nebbia per la qual vedessi

non altrimenti che per pelle talpe,

come, quando i vapori umidi e spessi

a diradar cominciansi, la spera

del sol debilemente entra per essi;

e fia la tua imagine leggera

in giugnere a veder com'io rividi

lo sole in pria, che già nel corcar era.

Sì, pareggiando i miei co' passi fidi

del mio maestro, usci' fuor di tal nube

ai raggi morti già ne' bassi lidi.

O imaginativa che ne rube

talvolta sì di fuor, ch'om non s'accorge

perché dintorno suonin mille tube,

chi move te, se 'l senso non ti porge?

Moveti lume che nel ciel s'informa,

per sé o per voler che giù lo scorge.

De l'empiezza di lei che mutò forma

ne l'uccel ch'a cantar più si diletta,

ne l'imagine mia apparve l'orma;

e qui fu la mia mente sì ristretta

dentro da sé, che di fuor non venìa

cosa che fosse allor da lei ricetta.

Poi piovve dentro a l'alta fantasia

un crucifisso dispettoso e fero

ne la sua vista, e cotal si morìa;

intorno ad esso era il grande Assuero,

Estèr sua sposa e 'l giusto Mardoceo,

che fu al dire e al far così intero.

E come questa imagine rompeo

sé per sé stessa, a guisa d'una bulla

cui manca l'acqua sotto qual si feo,

surse in mia visione una fanciulla

piangendo forte, e dicea: "O regina,

perché per ira hai voluto esser nulla?

Ancisa t'hai per non perder Lavina;

or m'hai perduta! Io son essa che lutto,

madre, a la tua pria ch'a l'altrui ruina".

Come si frange il sonno ove di butto

nova luce percuote il viso chiuso,

che fratto guizza pria che muoia tutto;

così l'imaginar mio cadde giuso

tosto che lume il volto mi percosse,

maggior assai che quel ch'è in nostro uso.

I' mi volgea per veder ov'io fosse,

quando una voce disse "Qui si monta",

che da ogni altro intento mi rimosse;

e fece la mia voglia tanto pronta

di riguardar chi era che parlava,

che mai non posa, se non si raffronta.

Ma come al sol che nostra vista grava

e per soverchio sua figura vela,

così la mia virtù quivi mancava.

"Questo è divino spirito, che ne la

via da ir sù ne drizza sanza prego,

e col suo lume sé medesmo cela.

Sì fa con noi, come l'uom si fa sego;

ché quale aspetta prego e l'uopo vede,

malignamente già si mette al nego.

Or accordiamo a tanto invito il piede;

procacciam di salir pria che s'abbui,

ché poi non si poria, se 'l dì non riede".

Così disse il mio duca, e io con lui

volgemmo i nostri passi ad una scala;

e tosto ch'io al primo grado fui,

senti'mi presso quasi un muover d'ala

e ventarmi nel viso e dir: 'Beati

pacifici, che son sanz'ira mala!'.

Già eran sovra noi tanto levati

li ultimi raggi che la notte segue,

che le stelle apparivan da più lati.

'O virtù mia, perché sì ti dilegue?',

fra me stesso dicea, ché mi sentiva

la possa de le gambe posta in triegue.

Noi eravam dove più non saliva

la scala sù, ed eravamo affissi,

pur come nave ch'a la piaggia arriva.

E io attesi un poco, s'io udissi

alcuna cosa nel novo girone;

poi mi volsi al maestro mio, e dissi:

"Dolce mio padre, dì, quale offensione

si purga qui nel giro dove semo?

Se i piè si stanno, non stea tuo sermone".

Ed elli a me: "L'amor del bene, scemo

del suo dover, quiritta si ristora;

qui si ribatte il mal tardato remo.

Ma perché più aperto intendi ancora,

volgi la mente a me, e prenderai

alcun buon frutto di nostra dimora".

"Né creator né creatura mai",

cominciò el, "figliuol, fu sanza amore,

o naturale o d'animo; e tu 'l sai.

Lo naturale è sempre sanza errore,

ma l'altro puote errar per malo obietto

o per troppo o per poco di vigore.

Mentre ch'elli è nel primo ben diretto,

e ne' secondi sé stesso misura,

esser non può cagion di mal diletto;

ma quando al mal si torce, o con più cura

o con men che non dee corre nel bene,

contra 'l fattore adovra sua fattura.

Quinci comprender puoi ch'esser convene

amor sementa in voi d'ogni virtute

e d'ogni operazion che merta pene.

Or, perché mai non può da la salute

amor del suo subietto volger viso,

da l'odio proprio son le cose tute;

e perché intender non si può diviso,

e per sé stante, alcuno esser dal primo,

da quello odiare ogni effetto è deciso.

Resta, se dividendo bene stimo,

che 'l mal che s'ama è del prossimo; ed esso

amor nasce in tre modi in vostro limo.

co chi, per esser suo vicin soppresso,

spera eccellenza, e sol per questo brama

ch'el sia di sua grandezza in basso messo;

è chi podere, grazia, onore e fama

teme di perder perch'altri sormonti,

onde s'attrista sì che 'l contrario ama;

ed è chi per ingiuria par ch'aonti,

sì che si fa de la vendetta ghiotto,

e tal convien che 'l male altrui impronti.

Questo triforme amor qua giù di sotto

si piange; or vo' che tu de l'altro intende,

che corre al ben con ordine corrotto.

Ciascun confusamente un bene apprende

nel qual si queti l'animo, e disira;

per che di giugner lui ciascun contende.

Se lento amore a lui veder vi tira

o a lui acquistar, questa cornice,

dopo giusto penter, ve ne martira.

Altro ben è che non fa l'uom felice;

non è felicità, non è la buona

essenza, d'ogni ben frutto e radice.

L'amor ch'ad esso troppo s'abbandona,

di sovr'a noi si piange per tre cerchi;

ma come tripartito si ragiona,

tacciolo, acciò che tu per te ne cerchi.